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IL PENSIERO DEL CARDINALE GIOVANNI COLOMBO SUGLI ORATORI

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Foto: Il Cardinale Giovanni Colombo inaugura l'Oratorio di Olginate nel 1973 

E' impresa ardua voler raccogliere e soprattutto ordinare e sistemare quanto Sua Eminenza il Card. Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano ha detto e insegnato circa la gioventù e particolarmente circa i problemi educativi che la riguardano.
La nostra ricerca si limita a quanto l'Arcivescovo ha detto circa gli oratori - la classica istituzione educativa parrocchiale - ma senza la pretesa di esaurire il Suo pensiero, sia perché i discorsi in cui tocca l'argomento sono spesso occasionali, sia perché molte volte Egli ha parlato dell'opera educatrice della parrocchia, o della situazione giovanile odierna, o di punti fondamentali dell'educazione cristiana, che -pur senza nominare espressamente l'oratorio - necessariamente lo coinvolgono.

Quante cose, ad es., Egli ha espresso a proposito del tema «scuola», o più ancora del terna            

«vocazioni›› o nei numerosi interventi a convegni d'ogni tipo che in qualche modo toccavano la situazione giovanile.

(Lorenzo Longoni, in Il pensiero del Cardinale Giovanni Colombo sugli oratori, ed. FOM)

IL PROBLEMA DEGLI ORATORI OGGI

Alla Mendola 4 settembre 1969

Convegno Nazionale degli Oratori

 

I. IL PROBLEMA DEGLI ORATORI OGGI

 

Porsi il problema se ci sia o no un domani per le istituzioni oratoriane è legittimo in questo momento di accelerata trasformazione della società umana e quindi anche della Chiesa che nella società umana vive e si costruisce.

L'attuale crisi generale di ogni sistema dentro e fuori la Chiesa, ripercuotendosi anche su tutte le istituzioni pedagogiche della gioventù, ovviamente non risparmia quelle oratoriane. A proposito di queste ci domandiamo: E' una crisi di esaurimento e di fine o invece è una crisi di rinnovamento e di crescita? Qui sta il nucleo della questione. Ebbene io mi sento di affermare che si tratta di crisi di rinnovamento e di crescita.

Svilupperò questa affermazione partendo anzitutto da un'esperienza personale, poi toccando l'eredità pastorale che è venuta nelle mie mani, accennando alle mutazioni del contesto sociale, per terminare con l'indicare i fermenti, nuovi e tradizionali, che costituiranno la struttura dell'oratorio di domani.

 

2. TESTIMONIANZA ED ESPERIENZA PERSONALE

 

Anzitutto parto da una testimonianza: la spontanea certezza della mia risposta affermativa sul domani dei nostri oratori affonda le sue radici proprio in questa esperienza. Dapprima quella remota del ragazzino che, proprio all'oratorio, è entrato in contatto per la prima volta con un mondo più vasto di quello familiare, più libero e vario di quello scolastico, provando la pura gioia del gioco, delle passeggiate, delle amicizie, scoprendo nella recitazione del teatrino un modo di esprimere sentimenti e sogni che gli urgevano dentro, gustando, approfondendo il senso religioso delle feste ricorrenti nell'anno liturgico, precedute da istruzioni, preghiere, fioretti.

Poi venne l'esperienza del seminarista, alunno di liceo e di teologia, che nell'oratorio è venuto addestrandosi nelle prime iniziative pastorali, mediante l'insegnamento sulla storia sacra, le conferenze religiose e morali tenute agli aspiranti delle associazioni cattoliche, le ripetizioni scolastiche nei giorni feriali, l'animazione delle gare ricreative, i fraterni consigli. Molti uomini del mio paese ormai con me «vergentes in senectutem» non raramente mi rievocano i tempi lontani dell'oratorio: parole e gesti che io ho dimenticato, ma che per loro sono stati fermenti di vita cristiana. Se avessi allora potuto prevedere che nulla va perduto di ciò che viene seminato nell'animo dei ragazzi, quanto di più e di meglio avrei fatto, con quanta più passione, con quanta più speranza!

Da sacerdote i miei impegni di insegnante in seminario non mi hanno mai concesso di diventare un vero assistente d'oratorio, ma attraverso il ministero della confessione e della direzione spirituale, esercitate successivamente in diverse parrocchie rurali e cittadine, mi sono trovato in condizioni favorevolissime per misurarne l'opera educativa. Magnifiche coscienze giovanili piene di fede e di grazia, umili e semplici, forti e serene, impegnate e costanti nell'azione apostolica, io venivo constatando che erano formate e alimentate spiritualmente nei nostri oratori.

Da rettore dei seminari milanesi non ho trovato nessuna difficoltà a verificare che vocazioni numerose, solide e promettenti, erano germi­nate negli oratori e nelle associazioni inserite nell'oratorio.

E ora da vescovo riscontro spesso che le parrocchie vive, aperte con sicurezza a nuovi panorami, ricche di laici preparati e generosi, sono quelle che hanno potuto godere, per decenni, dell'opera educativa di oratori efficacemente organizzati. Nelle parrocchie dove l'oratorio è mancato o non ha potuto funzionare, il livello medio della vita cristiana è più basso, il numero dei fedeli praticanti è più ristretto, la massa dei lontani è più fredda, perché non ha sentito l'influsso della calda corrente oratoriana.

 

3. LA RISPOSTA DELLA TRADIZIONE PASTORALE AM­BROSIANA

 

E ora veniamo a toccare la tradizione. Due beni incalcolabili nella diocesi ambrosiana, sono stati i frutti della presenza attiva degli oratori in quasi tutte le sue parrocchie, lungo l'arco dei settant'anni del secolo. Questi beni sono più evidenti nella campagna, perché qui gli Oratori hanno potuto esprimersi con minori difficoltà e con maggiori incidenze.

Il primo di questi beni è l'aderenza viva di cospicue masse alla Chiesa, anche se, per contrapposto, io non riscontro delle élites intellettuali. I nostri oratori e i nostri sacerdoti negli oratori, sono stati protesi nel contatto con la massa e non hanno avuto né tempo né modo di formare delle élites intellettuali. In altre nazioni, dove non hanno operato gli oratori, i sacerdoti hanno avuto più tempo di curare l'élite e perciò hanno avuto pensatori e scrittori, ma non hanno avuto il popolo. Questa conquista l'hanno pagata con la perdita della massa. Noi invece, se anche non abbiamo intera la massa dei popolo, ne abbiamo una cospicua parte, e ciò è dovuto agli oratori che hanno operato per una settantina d'anni.

L'altro bene, incalcolabile, che è frutto degli oratori, è un certo tipo di clero animoso e concreto, impegnato e realizzatore, povero e generoso, senza ambizioni arrivistiche, più amante dei fatti che delle discussioni, più vicino ai figli del popolo, alle loro gioie, alle loro pene, alle loro promozioni, alle loro rivendicazioni, che non ai molti libri, alle molte riviste, nostrane e straniere, alle molte teorie; anche se questa esperienza oratoriana, attraverso la quale per lo più passano quasi tutti i nostri sacerdoti per un decennio, ha forgiato più sagaci pastori che scintillanti dottori. Forse l'oratorio ‑ parlo della mia diocesi, della quale ho esperienza ‑ ha privato la diocesi ambrosiana di qualche dottore, ma ha dato alla diocesi ambrosiana incomparabili pastori, immersi nella vita del popolo, conquistatori dell'anima del popolo.

I grandi Arcivescovi miei predecessori amavano i libri, stimavano la cultura. Il Card. Ferrari diede le sue ultime energie per la fondazione dell'Università Cattolica; il Card. Schuster si alzava alle quattro per poter fare due ore intere di preghiera e due ore intere di studio prima di incominciare, alle 9‑9,30, la giornata per gli altri. Il Card. Montini era un innamorato dell'ingegno, un appassionato delle idee, un indagatore di problemi, un divoratore di libri, che non andava mai a letto. Del Card. Schuster non si sapeva mai quando si alzava, del Card. Montini non si sapeva mai l'ora in cui andava a letto. Ma tutti e tre questi grandi Arcivescovi, gli arcivescovi degli oratori, hanno sostenuto una pastorale parrocchiale in cui l'oratorio era una parte imprescindibile.

Il Card. Ferrari ‑ sono andato a leggere alcune sue note ‑ ripeteva spesso che nell'animo di molti ragazzi egli leggeva la frase che era scritta su parecchie case romane: «Est locanda», ossia «da affittare» e diceva: «Chi prende per primo l'anima di un fanciullo l'ha conquistata per sempre. Il ragazzo, crescendo, potrà sviarsi, ma non si perderà mai se avrà avuto all'inizio del cammino della sua vita una sana e profonda educazione religiosa. I ricordi più cari, più dinamici dell'adulto sono sempre quelli della prima età». Perciò nelle visite pastorali convinceva ogni Parroco a creare gli oratori maschili e femminili. E nel suo seminario teologico, conversando coi chierici, ripeteva spesse volte questa espressione: «Può darsi che taluno di voi mi dica di non sentirsi fatto per gli oratori; se questo mi dicesse, io gli risponderei che allora neppure io mi sento fatto per consacrarlo sacerdote».

Il Card. Schuster continuò in questo stesso solco, ripeteva ai suoi sacerdoti questa medesima espressione del Card. Ferrari, facendola sua. Concepiva l'oratorio essenzialmente inserito nella pastorale della parrocchia, anzi come il seminario per la formazione dei buoni parrocchiani. Si doleva che certi oratori, per l'ingombrante predominio delle attività esteriori, ricreative e organizzative e soprattutto per la carenza di catechesi regolare e di animazione soprannaturale, costituiscono l'educazione dei ragazzi sulla rena, più che sulla solida roccia che è Cristo.

Il Card. Montini raccolse la pedagogia oratoriana dei suoi predecessori, la codificò in quel sapiente decalogo, dove, di caratteristicamente suo, si scorgono certi rapidi e lucenti tocchi, che si oppongono a sottaciute critiche e già preludono ad aperture innovatrici.

«Ogni parrocchia ‑ canta il primo articolo ‑ deve avere il suo oratorio, un bell'oratorio maschile e femminile». E vi assegna tre scopi: istruzione, vita, azione. Istruzione cristiana sistematica, interessante; vita cristiana alimentata dalla pietà personale e liturgica; azione cristiana, serena, sociale e militante. (Questo è il colpo di pollice montiniano: sociale, militante).

Addita un mezzo imprescindibile nelle molteplici forme ricreative, purché attraggano la gioventù per formarla e non la distraggano per dissiparla.

Accenna alle eventuali integrazioni con dopo‑scuola e laboratori, alle iniziative di carità, alla collaborazione di esperti (anche questo è montiniano: «esperti»); voleva che entrassero nei nostri oratori i pedagogisti, coloro che hanno riflesso a lungo sui problemi dell'educazione, gli psicologi.

Voleva che l'oratorio avesse intimi rapporti con la famiglia, con la scuola; vedeva intorno all'oratorio un folto cerchio di cooperatori, maestri, amici e benefattori. Lo vedeva al centro di tutto l'interesse parrocchiale.

Egli pensava inoltre che le Associazioni giovanili di Azione Cattolica dovessero trovare nell'oratorio il primo campo di reclutamento, ma nell'oratorio avessero anche a trovare il primo spazio fondamentale. Gli arridevano quei saggi, quelle feste oratoriane che fanno vibrare le famiglie e l'intera parrocchia.

 

4. LA CRISI ODIERNA

 

Ma le esperienze personali, per quanto dolci nella memoria e vive, ancora, nel mio spirito; il tesoro pastorale ereditato dalla tradizione ambrosiana, che ora è nelle mie mani da custodire e da sviluppare (e ne sento la tremenda responsabilità che mi sbigottisce); tutto questo, non mi toglie però la chiara percezione dei profondi mutamenti, già avvenuti taluni, ancora in atto altri, che sembrano rendere scialba e perfino anacronistica, l'immagine dell'oratorio tradizionale.

Alcuni di questi mutamenti meritano di essere ricordati:

‑il turismo di fine settimana sempre più diffuso, e non solo nelle città, porta lontano i giovani dalla loro parrocchia e avvia i ragazzi a seguire i genitori nella gita, nello svago festivo, e così l'oratorio si svuota, nel giorno che sempre è stato sentito come il più importante, il più intenso per la vita oratoriana.

‑Inoltre l'insegnamento della religione nelle scuole, mettendo il sacerdote a contatto diretto con tutti i ragazzi della scuola dell'obbligo e poi, con moltissimi altri giovani, agli occhi di parecchi è apparso, specialmente là dove viene integrato dai movimenti di Gioventù Studentesca, come il succedaneo naturale dell'oratorio, che andava esaurendosi.

‑Un'altra causa che può mettere in crisi l'oratorio e le istituzioni oratoriane, è la spontaneità associativa, oggi molto sentita. Questa spontaneità associativa ama esprimersi in un pullulare di liberi e fervidi gruppi giovanili, i quali guardano ai grossi circoli oratoriani, come ad un agglomerato anonimo e un po' insipido, talora artificioso e mortificante. E s'incontra anche qualche sacerdote, che comprende sempre meno l'oratorio e molto di più il piccolo gruppo, in cui i soci convergono per congenialità, per amicizia, per desiderio di crescita comune.

‑E infine, nel contesto sociale moderno, a mettere un po' in crisi gli oratori ci sono anche i campi sportivi e i ritrovi culturali, istituiti in numero crescente e con dovizia di mezzi da enti pubblici e privati. Essi possono rendere ai nostri giovani sempre meno appetibili le imperfette strutture oratoriane, non solo, ma dimostrano altresì che, la supplenza fatta fin qui, da parte delle istituzioni oratoriane in certe funzioni profane, sia ormai esaurita.

I ragazzi e i giovani, si sente dire da qualche parte, devono essere convocati negli ambienti parrocchiali solo per una «chiara proposta di Chiesa»; tutto il resto: il gioco, lo sport, il cinema, il teatro, il bar, la musica, è ingombrante ai fini della formazione religiosa e deve essere, se mai, offerto e cercato altrove.

Non si vuole negare a questa concezione della pedagogia cristiana una sua logica, un suo diritto di sperimentazione, una sua efficacia; il tempo e i frutti ci faranno conoscere quanto sia il suo valore. Ma se questa concezione di pedagogia cristiana diventasse unica ed esclusiva, significherebbe la fine della pedagogia caratteristicamente oratoriana. L'oratorio, infatti, ha sempre ritenuto essenziale alla sua forma educativa rivolgersi all'uomo intero, nella sua completezza esistenziale di corpo, di mente, di anima per educano al cristianesimo facendo leva su tutti i valori di cui è portatore, evidentemente gerarchizzandoli.

Ora di fronte a questo mutato e mutante contesto sociale, saprà l'oratorio rispondere alle nuove esigenze dell'animo giovanile? Saprà risolvere le difficoltà provocate, o aggravate, da tutta questa nuova società? Saprà liberarsi da schemi storici già inariditi e incostanti per rinnovarsi in forme vive, articolate, incisive, mantenendo fedeltà alla sua originaria ispirazione, senza perdere la sua funzione di fermento nel popolo e di intimo legame con la pastorale della Parrocchia?

Io dico di sì, e lasciatemelo dire. Sull'orizzonte pastorale, per quanto io guardi coi miei occhi di vescovo, non scorgo nessuna alternativa che possa sostituire l'oratorio con migliore promessa; io dico di sì, perché le esperienze personali e i tesori della tradizione ambrosiana, dì cui faccio ogni giorno sempre più e sempre meglio esperienza, mi inducono a sperare nel domani dell'oratorio; io dico di sì, perché mi sento circondato da moltissimi dei miei preti, seminaristi, giovani e suore, che, non meno del loro vescovo, amano l'oratorio, lo sentono l'oratorio ancora necessario e avvertono che può avere un domani ancora fulgido.

Io questo l'ho riscontrato attraverso una consultazione diligente di parecchi sacerdoti giovani e immersi nella vita e nell'esperienza oratoriana. Temevo che venendo a parlarvi, io avessi gli occhi rivolti soltanto al passato della mia esperienza, al passato delle tradizioni ambrosiane e volevo togliermi questo timore cercando di vedere l'oratorio oggi, attraverso gli occhi dei miei giovani preti. Ho parlato con parecchi di loro; a parecchi di loro ho chiesto appunti, note, motivi di riflessione. Tre soprattutto ho voluto ascoltare più a lungo, tre bravissimi e animosissimi, perché mi sembravano ciascuno rappresentare una linea di rinnovamento. Uno cercava di innovare l'oratorio mettendo negli elementi validi della tradizione un'anima nuova: voleva vivificare ‑ intendeva, intende ‑ la tradizione. Un altro, un secondo, che aveva una posizione media, modificava molte cose nella tradizione e la innovava con elementi nuovi. E il terzo invece, sembrava abbandonare molta parte, se non tutta, la tradizione per cercare strade, vie nuove, meglio rispondenti alle esigenze del contesto sociale e dei giovani di oggi.

Il denominatore comune di tutti e tre però era questo: una grande passione per l'oratorio. L'oratorio è indispensabile, l'oratorio deve esserci, l'oratorio ha un domani. Quale sarà il domani? Qui divergevano. Ciascuno lo vedeva a suo modo: vivificare la tradizione con un'anima nuova, unire il vecchio e il nuovo con la sapienza evangelica: «Qui profert, de thesauro suo, nova et vetera », oppure tentare vie nuove.

E’ stato per me consolante il colloquio con questi intelligenti e davvero zelanti giovani sacerdoti; e molte cose ho raccolto dalla loro conversazione e dalla conversazione di molti altri, che adesso cercherò di esprimervi brevissimamente. Sono giunto all'ultimo punto della mia breve conversazione, nel quale intendo esporvi i fermenti nuovi e tradizionali per un oratorio rinnovato, per l'oratorio che potrebbe essere quello di domani.

 

5. FERMENTI TRADIZIONALI E NUOVI PER UN RINNOVATO ORATORIO

 

1) L'essenziale componente missionaria nell'educazione cri­stiana.

 

Anzitutto io direi che bisogna dare un più giusto rilievo nell'educazione, nella formazione cristiana dei nostri ragazzi e dei nostri giovani, alla dimensione missionaria e sociale del cristianesimo. Una volta, nell'educazione, si metteva in risalto soprattutto, il rapporto del cristiano col Signore, della coscienza individuale con Dio, quasi che l'amore di Dio potesse prescindere da un effettivo amore del prossimo. Poi venne, ed è recente, e qua e là s'attarda ancora, un'educazione opposta, che metteva in risalto, troppo unilateralmente, il rapporto del cristiano con il prossimo, quasi che tutta la religione, tutto l'amor di Dio si potesse ridurre ad una sociologia di liberazione dall'oppressione, dall'ingiustizia, o dal bisogno. Ora invece si tende a raggiungere un equilibrio; si tende ad una catechesi e a una pedagogia cristiana, che deve essere impartita anche e specialmente nei nostri oratori, con una consapevole integrità, la quale non deve disgiungere ciò che è inscindibile nella religione: l'amor dì Dio e l'amor del prossimo; la quale deve armonizzare nella comunione dello Spirito Santo le due dimensioni della carità, quella verticale e quella orizzontale. Noi tutti ricordiamo l'antica domanda del catechismo:

Per qual fine Dio ci ha creati? ‑ e questo lo diceva il Card. Suenens nella sua conferenza tenuta a Milano nel maggio scorso ‑ noi abbiamo insegnato sempre ai nostri ragazzi a rispondere a quella domanda in questo modo: «Ci ha creati per conoscerlo, per amarlo, per servirlo in questa vita e poi goderlo per sempre nell'altra», risposta esatta per altro. Tuttavia manca di esplicitare l'imprescindibile valore sociale della religione e appunto, per tale omissione, ha potuto dare adito a fraintendimenti pericolosi. La risposta chiara e integrale e veramente in linea con l'insegnamento conciliare, non può essere che questa: «Perché Dio ci ha creati? Per conoscerlo e farlo conoscere, per amarlo e farlo amare, per servirlo e farlo servire in questa vita e poi goderlo, tutti insieme, per sempre, nell'altra».

Badate che è importantissimo che fin dalla prima età le due essenziali e inscindibili componenti della vita cristiana vengano proposte in forma aperta e forte; la comprensione chiara e armonica dei due costitutivi aspetti della carità, e quindi della Chiesa, premunirà contro le pericolose deviazioni dei due opposti estremismi. Da una parte non si arriverà più a pensare, come talvolta si è pensato, che il doveroso primato della vita interiore mediante la preghiera personale, i Sacramenti, la liturgia, gli sforzi ascetici per tener pulita la coscienza, perché Dio si degni di farla sua dimora, sia roba di antiquariato medioevale. Dall'altra, però, si comprenderà che il popolo di Dio è tutto missionario, che finirà per perdere la propria anima colui che non assumerà la sua parte di peso per salvare quella degli altri, che non si può fare degnamente la Comunione, se noi non uniamo il nostro corpo al corpo di Cristo che è un corpo offerto, sacrificato, per gli altri, se non uniamo il nostro sangue al Sangue di Cristo che è un Sangue versato per tutti, in remissione dei peccati. Se non arriviamo a capire questo e a praticare questo, la Comunione è un ritualismo, è un formalismo che non costruisce la vita cristiana. Ma per portarlo a sentire la religione compiutamente così, occorre che fin da ragazzo, il giovane che frequenta i nostri oratori, abbia a sentire una spiegazione e abbia a vedere una pratica di vita cristiana, che tiene armonicamente uniti tutti i due aspetti dell'amore di Dio, della carità, amor di Dio e amor del prossimo.

 

II) Valore e limite del gruppo.

 

Un altro punto, un altro elemento, mi sembra che possa essere fermento nel nuovo oratorio; ed è l'attività di gruppo. L'oratorio dovrà consentire spazio e autonomia convenienti alle attività di gruppo. Una mentalità nuova si afferma oggi in ogni parte del mondo, il senso di comunità. Si avverte il bisogno di stare insieme, di scambiare idee, di lavorare ed esprimersi in compagnia, di proporsi insieme compiti speciali. Sorgono così, un po' dappertutto, i gruppi spontanei, democraticamente organizzati, con fini diversi, gruppi di studio, di tecnica, di arte, di apostolato, di azione caritativa, di preghiera, di verifica di vita.

Questa mentalità comunitaria ha la sua radice profonda nell'uomo, la cui natura, fuori dalla società, non può svilupparsi. Riconoscere l’importanza dei gruppi, delle comunità, piccole e grandi che siano, non è dunque fare una concessione alla moda del nostro tempo, ma è un riconoscimento della condizione umana e, nello stesso tempo, è preparare una valorizzazione della Chiesa, che è pure società, una società universale, verso cui possono essere aperte tutte le sane e rette comunità e tutti i retti gruppi particolari.

Però badate, che se noi accogliamo con favore nelle strutture oratoriane la formazione dei gruppi, ci incontreremo con vantaggi e con svantaggi. Toccherà, come in ogni cosa umana ‑ quaggiù ogni realtà fa la sua ombra ‑ all'educatore vigilare, perché siano schivati gli svantaggi e inseguiti e sviluppati i vantaggi.

Quali potrebbero essere gli svantaggi accogliendo nell'ambito vasto dell'oratorio ‑ e specialmente questo avverrà nei circoli giovanili ‑ il formarsi di molti gruppi?

Gli svantaggi potrebbero essere in una diminuzione della propria personalità, in un’inflazione a volte di riunioni, in discussioni di problemi, discussioni prolungate, a volte interminabili, a scapito dell'azione concreta, in una incapacità progressiva a decidere da soli, a raccogliersi in riflessioni e preghiere personali, e ‑ poiché per lo più questi gruppi sono fondati sulla congenialità, sull'amicizia ‑ il perdere energia per capire quel gruppo che è la Chiesa, che non è fondato sulla congenialità, ma è fondato sul Battesimo, sulla nostra inserzione in Cristo. E sono inseriti in Cristo anche quelli che non ci sono congeniali, e con loro dobbiamo far Chiesa, dobbiamo far gruppo. Queste però sono le ombre che bisognerà cercare di accorciare e di rendere sempre più scialbe, diminuite.

Però ci sono anche molti vantaggi, i vantaggi dei gruppi consistono in questo, che essi sviluppano quelle virtù che sono il tessuto di una spiritualità di Chiesa. Ad esempio, sviluppano la virtù della fede, perché il gruppo rivela una presenza privilegiata di Cristo: «Dove due o più saranno congregati in mio nome, io sarò in mezzo a loro», presenza però che non deve essere né assolutizzata, né contrapposta ad altri tipi di presenze che sono nella Chiesa. Sviluppano la virtù dell'umiltà, perché sollecitano ciascun socio del gruppo, ciascun membro, a vedersi limitato, incompleto e a stimare i doni di cui l’altro è portatore, come complementari e propri; deve sentire che egli ha bisogno dei doni affidati all'altro da Dio, come l'altro ha bisogno dei nostri; perciò formiamo gruppo e, nel gruppo, cresciamo insieme. Ma per riconoscere questo ci vuole umiltà, perché l'umiltà è nella verità, e la verità ci deve dimostrare che siamo esseri incompleti e che abbiamo bisogno dell'altro. Sviluppa il gruppo la virtù della carità, perché non deve respingere mai le diversità dell'altro e lo deve accogliere non nella misura in cui l'altro si fa simile a noi, ma deve accoglierlo rispettando la diversità dell'altro, perché, lasciandolo e accogliendolo diverso, può arricchire il gruppo. Il gruppo fa esercitare anche la virtù dell'ubbidienza, perché non può consistere un gruppo senza un capo, il quale capo, avrà anche, fatalmente, i suoi limiti, i suoi difetti e, nonostante i limiti e i difetti, si dovrà accettare il capo e ubbidirgli per qualche aspetto, perché in ogni gruppo cristiano, il capo non fa altro che ripetere la presenza di Gesù tra i discepoli. Infine, il gruppo sviluppa le virtù di relazione, perché esso deve essere aperto verso una comunità più grande, e in questo caso verso la comunità dell'oratorio o del Circolo oratoriano. Un gruppo ‑ e perciò si richiedono virtù di rapporti, virtù di relazioni, saper rinunciare, saper offrire ‑ in un oratorio o in un circolo oratoriano, deve alimentarsi dell'istituzione oratoriana, perché nasce in essa e deve dare all'istituzione oratoriana in cui nasce, agisce e opera, un contributo.

Se invece un gruppo si chiude in sé, nelle sue attività, allora un gruppo diventa setta. Badate che all'esterno le sette e i gruppi assomigliano moltissimo (come i funghi buoni da mangiare e quelli velenosi, all'esterno assomigliano molto), ma l'anima è assolutamente diversa. Un gruppo resta gruppo, resta sano e valido in un oratorio, se è aperto all'oratorio; il gruppo è un modo di vivere l'oratorio; se è nel circolo giovanile è un modo di vivere tutto il circolo giovanile; un modo particolare, partecipato da un certo numero di persone, di vivere il circolo, di vivere l'oratorio. Invece diventa setta quando non fa riconvergere il suo movimento particolare, il suo modo particolare, nel bene generale di tutta l'istituzione a cui appartiene, quando non accetta più le finalità fondamentali dell'educazione cristiana, quando si contrappone col suo spirito di esclusivismo, di autosufficienza, di dominio, di critica corrosiva, di lotta, quando ha delle sue finalità e le fa prevalere sopra le finalità dell'oratorio, invece di fare da incremento a queste stesse finalità.

Mi sono soffermato un pochino su questi accenni alla spiritualità del gruppo, perché desideravo mostrarvi quanta provvida fecondità di occasioni formative i gruppi potrebbero presentare all'educatore, qualora fosse attento, amoroso, zelante. Quante virtù formative potrebbero essere esercitate!

 

III) L'oratorio, proposta cristiana globale.

 

Un altro elemento, un altro fermento, questo vorrei dire tradizionale, che però va rivissuto, ripensato in un oratorio che vuole aggiornarsi, è l'educazione globale dell'oratorio, caratteristica dell'oratorio e che io penso debba ancora restare, perché questa educazione globale del giovane fu agli inizi degli oratori, sia che si vogliano far risalire a San Filippo o a San Giovanni Bosco. La formazione oratoriana si rivolge e vuoi dare perfezione armonica a tutti i valori naturali e soprannaturali di cui il ragazzo è portatore.

A me pare che la grande carta educativa dell'oratorio deve essere quella che S. Paolo espone ai Filippesi al capitolo 4: «State allegri, nel Signore, state allegri nel Signore, sempre; ve lo ripeto: state allegri. La vostra bontà risplenda davanti a tutti». Poi viene il primato dello spirituale: «Il Signore è vicino: non lasciatevi angustiare da nessuna preoccupazione; in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, con suppliche, con ringraziamenti; la pace di Dio che sorpassa ogni esperienza custodirà i vostri cuori, i vostri pensieri in Gesù Cristo». Poi viene quel che riguarda i valori naturali: l'umanesimo cristiano: «E per il resto, tutto quello che è vero, tutto quello che è nobile, tutto quello che è giusto, tutto quello che è amabile, tutto quello che vi fa onore, se vi è qualche virtù, qualche bella lode; a queste cose pensate».

Ho già detto che vi possono essere altre forme di pedagogia cristiana; ripeto che non intendo minimamente sconfessarle, affermo soltanto che la pedagogia delle istituzioni oratoriane si è sempre ispirata al testo della lettera paolina alla comunità macedone di Filippi. E l'esperienza di questi molti decenni del secolo, sette, certo non mi sembra ci consigli di abbandonare questa forma educativa.

 

IV) Programma, metodo e tempo della catechesi.

 

Per quanto concerne (ecco un altro fermento) la catechesi ricordo che il decalogo del Card. Montini la presenta come lo scopo primario dell'oratorio, la esige «regolare, sistematica, interessante».

Io riprendo questo tema per porvi alcune brevissime note che hanno dei riflessi attuali. L'una riguarda il programma, l'altra il metodo e l'altra ancora il tempo.

‑Il programma oratoriano non deve ripetere il programma scolastico tale e quale, per non annoiare i ragazzi; neppure deve essere diverso – mi pare ‑ per non aggravare le loro menti di un doppio programma e di materia che poi resterebbe indigesta, deve invece essere un programma armonizzato e complementare a quello della scuola.

Penso che la catechesi oratoriana, proprio perché viene data in un oratorio, debba distinguersi per un suo carattere molto storico, molto concreto, molto pratico, sviluppando per quanto è possibile, sul filo del programma scolastico, la parte biblica, la parte liturgica, che è molto concreta e molto facile, ossia la spiegazione dei santi segni, oppure anche le applicazioni vitali di ciò che vien detto in forma forse più astratta nella scuola.

‑Per quanto riguarda il metodo, non può essere che quello attivo con tutti gli accorgimenti tecnici suggeriti dai progressi delle scienze psicologiche e pedagogiche. Nessun valido progresso di queste scienze deve essere sconosciuto nei nostri oratori. Le aule, i banchi, la lavagna, i cartelloni, i mezzi visivi, auditivi, il disegno, siano valorizzati nel miglior modo possibile. I dialoghi e i mimi, cari ai nostri vecchi sacerdoti e poi abbandonati forse con troppa disinvoltura dalla nostra catechesi, ora ci sono stati presi dai testimoni di Geova, e, a quanto dicono i giornali, con entusiasmante successo; ed era roba nostra, cresciuta in casa nostra.

‑Circa il tempo della catechesi c'è da fare i conti con il turismo domenicale, e molti bravi assistenti li sanno fare egregiamente. Qualcuno di quelli che io ho interrogato mi ha detto: senza chiudere l'oratorio festivo per i non pochi che ancora possono, anzi desiderano frequentarlo, organizzo incontri feriali; ogni pomeriggio organizzo l'incontro con questo o con quel gruppo di ragazzi, secondo la libertà consentita dall'orario scolastico, e svolgo con questi ragazzi attività ricreative, ma anche principalmente catechesi formativa.

 

V) L'oratorio nella comunità parrocchiale

 

Un altro fermento. L'oratorio è e deve essere ‑ secondo la nostra tradizione ‑ della parrocchia e per la parrocchia. L'oratorio è il luogo ed il modo con cui i ragazzi e i giovani sono formati a vivere la parrocchia. E perciò l'istituzione è aperta a tutti i ragazzi per una formazione comune parrocchiale di base. Corrisponde, rispetto alla comunità parrocchiale, a ciò che è la scuola d'obbligo per la comunità civile: perciò il parroco, pur affidandolo all'assistenza di un suo coadiutore, a cui dovrà lasciare la giusta autonomia, sarà il primo responsabile e il primo a doversene interessare con dedizione generosa. I principali problemi educativi, organizzativi e finanziari saranno discussi e risolti anche nelle giunte e nei consigli parrocchiali, perché l'oratorio è il modo con cui i giovani vivono tutta la parrocchia.

L'educazione di massa non è più accettabile, non è più concepibile, ma l'educazione personale, i piccoli gruppi, reclamano l'opera di molte persone preparate spiritualmente e tecnicamente; tocca alla parrocchia fare ogni possibile sforzo, perché all'oratorio non manchi il sostegno di esperti, di maestri, di amici, con capacità e volontà di impegno.

Se l'oratorio ha bisogno di ricevere moltissimo dalla Parrocchia, è giusto che alla parrocchia debba dare moltissimo: piccolo clero, lettori, cantori per la liturgia, giovani per le opere caritative vocazioni ecclesiali e soprattutto cristiani formati, consapevoli della loro fede, pronti a difenderla e a diffonderla, vivi di una crescente vita di grazia, attivi in ogni opera buona. In semplici e chiare parole: la parrocchia sia aperta a ogni iniziativa oratoriana e l'oratorio lo sia a ogni iniziativa parrocchiale.

 

VI) L'oratorio e la famiglia.

 

Accenno, per finire, alla collaborazione della famiglia. Fin qui la collaborazione della famiglia all'oratorio è stata prevalentemente complementare ed esterna all'oratorio. Ora deve diventare costitutiva e interna. Fin qui era l'oratorio che andava a cercare i rapporti con la famiglia, era l'assistente che entrava nelle case, di quando in quando, a interessare i genitori dei ragazzi che venivano all'oratorio. Ora invece è la famiglia che deve entrare nell'oratorio, sono i genitori che devono essere costituzionalmente interessati alla vita dell'oratorio e devono far parte di quel complesso di responsabili che guida l'oratorio; deve perciò, l'oratorio nuovo, coltivare un rapporto sempre più intimo con la famiglia.

 

VII) L'oratorio e le associazioni di Azione Cattolica

 

L'oratorio è sempre stato e dovrà sempre gloriarsi di essere il miglior vivaio per le vocazioni all'apostolato, sia laiche, sia religiose, sia sacerdotali. I nostri giovani, i nostri seminaristi, le religiose, i sacerdoti dovranno sempre stimare l'oratorio come campo privilegiato e fecondissimo delle loro attività apostoliche. Se qualcuno fosse tentato di considerare con qualche disistima la dedizione apostolica per la formazione cristiana dei nostri ragazzi, rilegga, con cuore umile e puro il Vangelo, e si accorgerà che Cristo ha sentito e detto ben diversamente.

 

VIII) Oratori distinti.

 

Quest'argomento meriterebbe un discorso a parte. Sarà per un'altra volta. Mi basti ora affermare che la validissima tradizione ambrosiana, di cui sappiamo per esperienza i risultati consolanti mentre ignoriamo quelli delle nuove, e talora avventate, forme educative, ha sempre pensato a due oratori distinti: maschile e femminile. La sana pedagogia, accolta nei suoi veri progressi, illuminata dalla rivelazione cristiana sulla condizione storica dell'uomo, non fa che confortare la nostra esperienza ormai lunga di molti decenni­

 

IX) L'assistente anima dell’oratorio.­

 

Concludo e la conclusione di questa conversazione credo sia già scontata. La ricerca di idee, di formule nuove è molto provvida e va incoraggiata e io sento che, in ogni parrocchia della mia diocesi, è vi­brante questa ricerca. Tuttavia non illudiamoci. Non basteranno i programmi nuovi a dare un domani all'oratorio, se non verranno i preti capaci di infondere una vita nuova ai nuovi programmi, di infondere la loro vita senza riserve e senza pretese. Gli oratori di ieri sono vissuti perché i nostri bravi sacerdoti anziani hanno mangiato polvere, hanno sudato, hanno tremato di freddo, si sono logorati, in questi oratori, dandoci la loro anima, la loro vita. Io sono certo che questa generosa dedizione continuerà. Avremo ancora giovani sacerdoti che daranno ai nuovi programmi una nuova vita, giovani sacerdoti realmente innamorati di Gesù Cristo e protesi a riviverlo, quel Cristo che non ha avuto paura di essere un «Baby‑sitter»), quando ha detto: «Lasciate che i pargoli vengano a me» e inseguiva i ragazzi e i giovani, tanto che lo chiamavano «seduttore» dei giovani; preti di molto sacrificio come Lui, di molta preghiera, di molta umiltà, appassionati e capaci, come Lui, di affascinare le anime giovanili, maturi in quell'amore oblativo, che trova più gioia nel dare che nel ricevere; sacerdoti che, nelle ore degli insuccessi, delle incorrispondenze e degli abbandoni fatali, si sentono provocati non già a buttare le armi, ma ad amare di più, con più forza, con più purezza, non chiedendo gioia, ma dando bene; sacerdoti che non si accasciano mai per la solitudine, per l'insuccesso, per la tristezza. Perché sanno, secondo la carta dell'oratorio, ‑ la lettera ai Filippesi ‑ che il «Signore è vicino»; sacerdoti che accogliendo, secondo quella carta, tutto ciò che è retto, tutto ciò che è bello, tutto ciò che è veramente umano, sanno però dare il primato all’unico necessario, per attendervi con tutto il cuore e con tutte le forze, affidando, appena loro è possibile, il resto, alla collaborazione dei laici. Se noi avremo di questi sacerdoti, e li avremo, l'oratorio avrà certamente un fulgido domani.

(da Portale della Chiesa di Milano, ITL spa, 2003).

8 settembre 1963, Inaugurazione Oratorio Maschile di Meda, l'Arcivescovo Colombo ha fatto pervenire il seguente Messaggio

 

"Con cuore grande, e vorrei dire entusiasta, partecipo alla gioia del Parroco, del bravo Assistente, degli altri Sacerdoti collaboratori e di tutto il popolo di Meda per l'inaugurazione del nuovo Oratorio.

E' sorto con la benedizione del mio augusto Predecessore, ora Paolo VI, a cui questa opera era tanto cara, termina con la sua e mia benedizione.

Ora che la moderna e accogliente casa è finita, tocca alla Gioventù di Meda renderla viva e operosa: cordialmente rivolgo il mio affettuoso saluto a questi giovani dilettissimi in cui ripongo le più belle speranze". (Eco degli Oratori, 1963, 482)

INAUGUAZIONE ORATORIO MEDA 1963
CASA DELLA GIOVENTU' CORNAREDO

Inaugurazione della nuova "Casa del Giovane", Cornaredo, 25 aprile 1964. L'Arcivescovo Colombo per l'occasione ha parole di congratulazione, di ringraziamento e di incoraggiamento.

"Tutto quello che viene fatto per la gioventù è un'opera provvidenziale che sta a cuore al Vescovo; il dono più bello che una Parrocchia può fare all'Arcivescovo è quella di una casa per la gioventù: grazie per questo oratorio che significa l'elevazione culturale e religiosa di questa popolazione. Germe di gioia è la realizzazione di questa casa della gioventù costruita col sacrificio morale e materiale dei giovani". (Eco degli Oratori 1964, 422)

LECCO ORATORIO FEMMINILE E PENSIONATO 1964

Benedizione delle pose delle prime pietre dell'Oratorio femminile e del pensionato della gioventù, Lecco, 7 giugno 1964. L'Arcivescovo Colombo nel suo discorso parlando della fede da trasmettere alle nuove generazioni ha tra l'altro detto

"... che dobbiamo trasmettere con forza per l'avvenire alle generazioni che si susseguiranno. Tant'è vero che oggi questo proposito di dare nuovo vigore alle tradizioni e di trasmetterle alle generazioni che vengono a una sua, diciamo, espressione nella benedizione delle due prime pietre: quella dell'Oratorio Femminile e quella del Pensionato della Gioventù.

L'una dice la materna preoccupazione della Chiesa per l'educazione delle giovani che formano la dolcezza e la gentilezza del vivere cristiano e a cui sono affidate le migliori tradizioni delle famiglie del domani, perché esse saranno le madri delle nuove famiglie.

E la benedizione del Pensionato della Gioventù dice la preoccupazione pure materna della Chiesa per tutti coloro che lavorano...". (Eco degli Oratori, 1964, 741).

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