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L'Età anziana è un dono

IL PENSIERO SULLA TERZA ETA' DEL CARDINALE GIOVANNI COLOMBO

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In questa sezione trovi il pensiero del Cardinale Giovanni Colombo sulla "Pastorale della Terza Età" steso nella Pentecoste del 1973, ritenendolo un preludio autorevole su una delle grandi tematiche inerenti alla "famiglia" di cui oggi si discute molto. I testi qui proposti sono stati pubblicati in un opuscolo nel 2011 dalla Cooperativa culturale In Dialogo. L'intento è quello di essere una fote preziosa di seria riflessione per il Movimento della Terza Età e non solo.

Il Cardinale Giovanni Colombo

con Antonia Maggioni, "pioniera" del Movimento Terza Età

Il Cardinale Giovanni Colombo fino ai sessantanni svolse una missione educatrice nei confronti soprattutto della gioventù, in seminario come insegnante e formatore di futuri sacerdoti (tra l”altro per qualche anno fu anche professore alla Cattolica).
Divenuto Pastore, s'imbatté presto nel tormentone epocale della contestazione sessantottina, mossa particolarmente dalle idealità e dalle prime critiche giovanili nei confronti del mondo degli adulti.

Proprio in quegli anni tuttavia trovò modo di pensare agli anziani. Perché? Innanzitutto egli stesso invecchiava, e poi di riflesso veniva a conoscere i fedeli coevi statisticamente sempre più numerosi, ricchi ancora di energie, ma che dagli eventi sociali si trovavano sospinti ai margini della società. Dopo tante esperienze, questa spietata esclusione da tutto talora evidenziava in loro il pericolo dello svuotamento e la tentazione dell”inutilità d'esistere.
Il Cardinale, esperto di umanità, pastore di tutti, volle approfondire e dare una risposta al crescente fenomeno dei pensionati.
Il suo studio, le sue analisi e le sue direttive svegliarono le doverose attenzioni dei politici, ai quali è affidato il compito di organizzare e provvedere alla società nelle sue varie fasi.
In quel frangente la sensibilità inventiva del Cardinale coniò per gli anziani anche l'espressione, oggi ormai comune, di «Terza Età», ad indicare l”età del pensionamento che fa seguito alla prima, quella della formazione, e alla seconda, quella della produttività. In quest›opera di approfondimento si valse delle cognizioni scientifiche del dottor Giorgio Kauchtschivili, neurogeriatra impegnato tra Pavia e Milano, come in seguito si tenne aggiornato tramite le competenze del professor Elio Baldoni di Monza.
La Pentecoste del 1973 portò, per impulso del nostro Arcivescovo attraverso una Lettera pastorale, nuovo soffio di vitalità alla conduzione delle nostre comunità sia cristiane sia, di riflesso, civiche. Il Cardinale guardava infatti all'anziano come depositario di una dignità umana e di conseguenza di un provvidenziale intervento redentivo divino.
Gli approfondimenti del Cardinale su questo tema non solo tengono conto dei dati scientifici, ma altresì sono pervasi da fini intendimenti psicologici, vibranti di simpatia e di solidarietà, nonché d'afflato religioso, per cui l'intervento di Dio si rivela esaustivo e pieno, come di chi dice l'ultima parola sull'uomo, su ogni uomo, di qualsiasi condizione, età e cultura. Nel nostro specifico caso ci faceva cogliere che
ogni eta - anche la Terza Età! - è benedizione, risorsa, dono.
Il nostro antico Arcivescovo, mosso interiormente dallo Spirito Santo, consideratosi anziano tra gli anziani ed educatore tra i suoi fedeli, si rivelò non solo navigatore nell'empireo degli ideali e della facile poesia, ma da uomo sodo e concreto ebbe la  grinta positiva dell'organizzatore e suscitò il "Movimento".
Da chierico aveva una volta fatto sua una invocazione desunta dal salmo 118: «Tempus faciendi, Domine», che aveva tradotto: «È tempo di fare, Signore». E negli ultimi anni teneva cara un'altra esortazione: «Fin che c”è olio, la lampada deve ardere». Egli «fece» e «arse» sino alla fine.

Basti pensare quanto operò anche in seguito per erigere una Università apposita per sostenere culturalmente i suoi fratelli anziani.
                                                                                                             Don Francantonio Bernasconi*

 

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* Mons. Francantonio Bernasconi, curatore del volumetto, è nato a Bellano il 12 maggio 1945 ed è stato ordinato sacerdote il 26 giugno 1971. Ha esercitato il ministero a Lecco Germanedo e a Porlezza. Fu chiamato come segretario a servizio del Cardinale Giovanni Colombo a Milano nel 1980, assistendolo nel suo attivo pensionamento sino al 1992.

Dal 1993 al 2001 mons. Bernasconi è stato Prevosto di Asso, quindi parroco di Caronno Pertusella (Va), paese natale del cardinale Colombo, del quale cura tuttora con competenza e affetto la memoria attraverso varie bubblicazioni di scritti e di ricordi.

 

 

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DICONO E SCRIVONO DI LUI
Gli incoraggiamenti del Card. Tettamanzi

GLI INCORAGGIAMENTI DEL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI

Milano, 10 giugno 2011

Mentre scrivo queste righe a compiacimento e incoraggiamento del presente volumetto commemorativo dei quarant’anni del Movimento Terza Età, suscitato dalla lungimirante sensibilità spirituale e pastorale del Cardinale Giovanni Colombo, sono ancora allietato dal cenno che ha fatto Papa Benedetto XVI qualche giorno fa a Zagabria sul VII Incontro Mondiale delle Famiglie che sara ospitato il prossimo anno nella nostra Milano. Nelle parole pronunciate all’Angelus dal Santo Padre trovo elencate le componenti della famiglia: oltre i coniugi, i genitori e i figli, ha citato - e a buona ragione - anche i nonni, e dunque gli anziani. Essi non sono affatto da dimenticare in famiglia.
Mi piace allora collegare il quarantesimo del Movimento Terza Età con l’evento del prossimo anno a Milano. Il Cardinale Colombo, sono certo, ne gioirà da lassù, perché egli parlando della famiglia non tralasciò mai gli anziani che in essa offrono non solo la loro esperienza, ma oggi, in particolare nella condizione socio-lavorativa dei nuclei domestici, spesso donano un efficace supporto alla gestione familiare.
Essi, più che dare assistenza, sono una vera e propria "provvidenza", un "dono", come dice il titolo di questa pubblicazione.
Il mio mai dimenticato predecessore - di cui sono stato discepolo per lunghi anni e in qualclae modo collaboratore nel presbiterio ambrosiano e sempre ammiratore - si é trovato più volte ad affermare che i nonni, formando un ponte intergenerazionale, sono quelli che ricevono le confidenze dei nipoti che oggi si rivolgono a loro prima ancora che ai propri genitori. Vi è cosi un’intesa spontanea tra anziani e giovani, che è da ammirare e favorire.
Saluto pertanto con viva soddisfazione questo florilegio della "Pastorale della Terza Età" steso nella Pentecoste del 1973 dall’Arcivescovo Giovanni Colombo, ritenendolo un preludio autorevole su una delle grandi tematiche inerenti alla <<famiglia>> di cui sentiremo trattare ampiamente il prossimo anno.

 

Con benedicente affetto,
+ Dionigi Card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano

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LA PASTORALE DELLA TERZA ETA'

Card. Giovanni Colombo - Lettera pastorale alla Diocesi, in "Rivista Diocesana Milanese" 61 (1973).

 

 


I complessi e gravi problemi della senescenza attirano sempre più l’attenzione e la preoccupazione della società civile. Se la Chiesa vuole rendersi presente nel mondo moderno, deve studiare, creare, organizzare una pastorale degli anziani, che sia intelligente e adeguata ai progressi scientifici, tecnici, psicologici della gerontologia e della geriatria. Bisogna che la Chiesa si renda conto che la terza età è un fatto sociale imponente, un problema pastorale urgente, una speranza d’apostolato promettente.
 

1. Fatto sociale imponente
E oramai comune distinguere la popolazione di una società secondo tre periodi o età.
La prima età è quella della preparazione, e si tende ad allungarla; la seconda quella dell’attività produttiva; la terza quella della pensione, e si nota la spinta ad anticiparla. Tutto fa prevedere che, in un breve giro di anni, ciascuna età abbraccerà all’incirca un terzo dell’intera popolazione.  

 

2. Problema pastorale urgente
La società civile va prendendo coscienza sempre più approfondita e appassionata dei problemi della longevità, e cerca di risolverli dando giustamente rilievo ai valori umani.
La Chiesa non può restare estranea a questo generale movimento. La sua stessa missione l’impegna a una presenza operante. Vi deve infondere l’ispirazione del Vangelo che è luce, forza, consolazione per ogni età della vita, e specialmente per la vecchiaia; deve ridestare il richiamo alla coscienza ogni volta che i diritti e la dignità dell’uomo non sono sufficientemente rispettati; deve anche stimolare il contributo dei suoi figli più sensibili e più preparati. Essa si compiace della preminenza riconosciuta dalla società civile ai valori della persona nell’assistenza agli anziani, ma per lei questo non basta: Cristo non è soltanto uomo e la religione cristiana non è semplicemente umanesimo; perciò l’azione salvifica della Chiesa, se da un lato non può prescindere dai problemi umani, dall’altro non può esaurirsi entro i loro confini.
Anche nel settore della terza età non bisogna perdere il passo della storia. Se per ottusità nel leggere i segni dei tempi, o per ignavia ci adagiassimo in pigri ritardi e in discussioni inutili, sarebbe un danno forse irreparabile.

 

3. Apostolato promettente
Quando il sole della vita si abbassa sull’orizzonte e le ombre degli anni trascorsi si allungano, quando i tumulti del giorno si placano nella quiete della sera, allora è il tempo più propizio perché l’uomo ascolti e discuta tra sé e sé gli interrogativi che salgono dal profondo del suo cuore: <<A che serve questa vita che finisce? Che mi resterà del mio soffrire, del mio lavorare, del mio amare? Che esperienza mi attende di la dal varco oscuro verso cui ineluttabilmente mi avvicino? Sarà il buio del nulla che inghiotte tutto, e per sempre, o sarà invece l’oscurita di un momento, come quella di una sala di teatro, quando si cambia lo scenario? E apparirà davvero uno scenario imperituro, "i nuovi cieli e la nuova terra" ove abiteranno "i figli della risurrezione"? Solo Cristo ha dato a queste angosciose domande le risposte certe, senza le quali non è possibile invecchiare in pace. E gli anziani hanno bisogno di chi gliele rechi o gliele confermi, non solo con le parole, ma soprattutto con la testimonianza dell’amicizia sincera e dell’aiuto adeguato alla loro sensibilità.

Alcuni di essi sono sempre vissuti da apostoli in coerenza con la grazia del loro Battesimo, e ora che hanno molto tempo libero e sono insidiati dalla struggente malinconia di sentirsi inutili, non desiderano che di essere valorizzati maggiormente, anche se diversamente da prima, nella loro aspirazione missionaria. Altri, pur vivendo fedeli alla Chiesa, non sono mai stati apostoli solo perché erano troppo indaffarati; adesso, però, si sentirebbero felici se qualcuno li ricuperasse all’apostolato. Altri, portatori inconsci di attitudini missionarie, rimaste in letargo perché non hanno trovato una mano amica che le risvegliasse, educasse e guidasse, attendono con segreta speranza, come gli operai dell’undicesima ora, che qualcuno li inviti a lavorare nella vigna del Signore. Forse molti hanno vissuto i loro anni in un’alterna vicenda di fughe e di ritorni alla casa del Padre, e molti ancora non hanno più avuto altro aggancio per la comunità ecclesiale dopo quello della prima Comunione e del Matrimonio: ma anche tutti questi hanno diritto all’amore della Chiesa. E la Chiesa è debitrice verso il mondo della longevità non meno di quanto è debitrice verso il mondo della scuola e del lavoro.
A tutti gli anziani, dovunque essi si trovino e in qualunque condizione fisica o spirituale vivano, soli o in comunità, sani o malati, credenti o no, deve essere offerta con ogni zelo l’occasione di un incontro personale con Cristo, prima dell’ultimo definitivo incontro che per loro non può tardare molto. E' nostro dovere procurargliela, e la speranza di riuscirvi si farà più certa in proporzione del nostro impegno a conoscerli, ad amarli e ad aiunarli.

 

 

CONOSCERE L'ANZIANO
 

Una conoscenza dei prohlemi della terza età, che non vuole restare superficiale ed empirica, esige un’informazione vasta e diligente. Ci sono le prospettive biblico-teologiche che con la luce della fede guidano alla conoscenza integrale dei valori dell’anziano. Ci sono gli aspetti psico-sociologici che rivelano i pericoli dell’emarginazione creati all’anziano da una società caratterizzata dai fenomeni dell’industrializzazione, dell’inurbanesimo, del nucleo familiare ristretto e labile, e in pari tempo indicano le vie e i mezzi migliori per mantenere i vecchi nel contesto ambientale in cui sono cresciuti e hanno operato. Ci sono gli aspetti medico-biologici che studiano i fenomeni della senescenza, i meccanismi della sua progressione, i soccorsi preventivi che la ritardano, le terapie per i momenti patologici. Ci sono infine gli aspetti assistenziali che hanno avuto sviluppi imprevedibili solo una ventina d’anni fa: si pensi ai servizi domiciliari, agli ambulatori, agli ospedali geriatrici diurni, alle case albergo, alle case di riposo, attrezzate secondo gli ultimi accorgimenti della scienza e della tecnica. Dopo i progressi della medicina e della psicologia gli anziani non possono più essere assistiti in massa, ma uno per uno, perché ciascuno è un mondo a sé, e in ciascuno è diverso il rapporto tra età cronologica, età fisiologica ed età psicologica.
Evidentemente questi campi sono propri dello specialista. Basterà averli accennati perché i pastori di anime, e soprattutto quelli che si dedicano particolarmente alla cura spirituale degli anziani, non trascurino di informarsi sulle progressive conquiste delle diverse scienze e delle diverse tecniche per gli utili riferimenti alla pastorale che se ne possono ricavare.

 

1. Conservatorismo dell’eta avanzata
Ci sono tuttavia gli stati d’animo sperimentati comunemente da tutti gli anziani che non possono essere ignorati nello svolgimento di una efficace azione pastorale.
Anzitutto il conservatorismo connaturale con l’età avanzata. E' normale che l’anziano si senta a disagio di fronte alle innovazioni di qualsiasi genere e istintivamente riversi le sue preferenze e i suoi rimpianti per le usanze e le tecniche dei suoi tempi migliori: gli anni della sua giovinezza e quelli efficienti della sua maturità. Gli esempi dimostrativi sono sparsi in ogni ceto sociale: il maturo industriale stenta a rinnovare il macchinario e rischia di essere scavalcato nelle competizioni di mercato; il medico anziano è diffidente dei nuovi farmaci; l’operaio mano mano che avanza negli anni
mal sopporta i nuovi metodi di lavoro; il vecchio cittadino vota sempre per il medesimo partito, legge il medesimo giornale, ritorna per le ferie alla medesima località, frequenta sempre gli stessi amici. A ogni persona cara che scompare dalla loro cerchia, s’infrange un legame che non viene piu sostituito, e pertanto si fa più forte il cruccio che ripiega i vecchi in se stessi.
Il pastore d’anime dovrà tenerne calcolo per sollecitare l’anziano a reagire al conservatorismo e ad aprirsi alle continue novità della vita. Ognuno è giovane finché ha volontà d’imparare, e l’anziano ha il dovere di mantenersi spiritualmente giovane fino all’ultimo. Proporzionatamente alle sue forze e alle sue condizioni, cercherà di non perdere il contatto con il mondo che si evolve e di contribuire ancora a migliorarlo. Tale impegno per il cristiano ha sorgenti anche più alte: promana dalla vita secondo lo Spirito, perenne creatore e innovatore, vita che cominciata nel Battesimo non conosce declino e sale di novità in novità fino alla sua pienezza definitiva in cielo.

 

2. Pena di sentirsi estraneo
Un altro stato d’animo diffuso tra gli anziani, correlativo con il precedente, è la pena di sentirsi estraneo in un mondo che muta rapidamente sotto la spinta dell’industrializzazione e dell’inurbanesimo.
Nella società rurale la famiglia era ancora di  tipo patriarcale: gli anziani erano pochi, stimati per la loro esperienza, rispettati come i proprietari della terra e dei mezzi di produzione agricola. Nella società industriale tutto è cambiato: la famiglia patriarcale ha lasciato il posto a quella dell’unico ceppo coniugale; cresce il valore del lavoro rispetto a quello della proprietà; il nucleo familiare tende a sgretolarsi perché i figli hanno un mestiere o una professione diversa dal padre e tra di loro, raggiungono diversi livelli di rendimento, e ciascuno conta per se stesso. Il padre ha scarse esperienze da insegnare ai figli e i figli capiscono di avere poco da imparare da lui. Nella famiglia risuonano discorsi diversi, aspirazioni diverse, si esprimono gusti diversi, si progettano svaghi diversi e ferie diverse: il padre comincia a sentirsi uno spaesato anche in casa.  
I giovani lasciano la terra e partono verso l’industria in cerca del futuro; i vecchi restano a custodire le memorie e le usanze di un passato che non ritorna più. E se osano sradicarsi e seguire i figli, sarà per il loro cuore una ferita non rimarginabile: si sentiranno sempre smarriti tra le morse di un sistema e di un ambiente che non sono più il loro sistema e il loro ambiente, e non potranno diventare tali se non per rara eccezione.
Tutti gli anziani, non solo gli immigrati, sono spiritualmente esuli in questo mondo improvviso sorto dall’industria e dall’inurbanesimo. La loro sofferenza non è piccola. La comunità cristiana: sacerdoti, religiosi e laici, è chiamata a rendergliela meno penosa, aiutandoli nello sforzo continuo dell’adattamento.

 

3. Crisi del pensionamento e del ricovero
Due crisi drammatiche della terza età, il pensionamento e l’eventuale ricovero, devono avere un’attenta considerazione nella pastorale degli anziani.
Il sessantenne, che parecchi anni prima aveva atteso, e perfino affrettato col desiderio il momento della pensione, non appena arriva, si sente bruscamente espulso dal settore produttivo e diminuito di prestigio.
In una società industriale l’impegno lavorativo assume un’importanza determinante per la dignità della persona, e quindi la esclusione dal ciclo produttivo porta con sé l’impressione quasi umiliante d’inutilità, che può causare turbamenti psichici e fisici, talvolta profondi. Al pensionato pare di perdere tutto ciò che per tanti anni ha riempito la sua vita e di precipitare verticalmente nel vuoto. Sente d’avere ancora discrete capacità lavorative, buona salute, volontà di rendersi utile; eppure la realtà sociale e familiare non le accetta.
La prima con la intolleranza di chi ha bisogno di fare largo ai giovani; l’altra con l’affetto un poco interessato dei figli che, quando si tratta di un negozio o di un’azienda di tipo familiare, vanno ripetendo all’anziano di pensare solo a riposare e a stare bene, di lasciare a loro ogni preoccupazione. E così, tra alterni momenti di ribellione e di rassegnazione, si trova sospinto sulla china del disimpegno e della demoralizzazione, che accelerano il suo decadimento.
Una intelligente e diligente azione pastorale per la terza età dovrà cercare e stimolare provvedimenti adatti per prolungare la permanenza degli anziani nella vita attiva, con misura progressivamente ridotta, adeguata alle loro capacità e, possibilmente, rimunerata secondo giustizia. La parrocchia stessa talvolta può offrire qualche posto tra le sue attività.
L'altro trauma, più terribile del primo, è prodotto dal ricovero, qualora per qualsiasi motivo se ne verificasse la necessità. Uscire dalla propria casa per entrare in un’altra, forse puù comoda e più bella, ma senza ricordi e senza intimità, abbandonare la compagnia di familiari e di amici per convivere con persone non di propria scelta e forse non congeniali, perdere la propria autonomia e adattarsi a un regolamento che, per quanto largo, è sempre limitativo, e per l'anziano un trapianto drammatico che comporta lacerazioni psicologiche le quali difficilmente possono cicatrizzare. I parenti, soddisfatti d’avere finalmente trovata una decorosa sistemazione per l’amato vecchio e insieme d’aver risolto un problema familiare, non mancheranno di andarlo a trovare ogni settimana. Egli respirerà avidamente quella boccata d’affetto, quel soffio d’aria del suo mondo perduto, che però non gli basterà a ravvivare la squallida monotonia delle sue giornate; forse non gli sfuggirà durante il colloquio lo sguardo all’orologio dei cari visitatori; poi li vedrà scomparire in fondo al corridoio o al viale del parco, e di nuovo si sentirà riassorbito dalla sua malinconica solitudine, che è una attesa della morte. Il giorno appresso, svegliandosi di buon’ora, alla luce della nuova alba, che scivola sui vetri della finestra, non proverà allegrezza nel suo cuore, ma un senso di vuoto e di noia.
La pastorale della terza età non ignori questi stati psicologici e non trascuri di diffondere la convinzione che la sede naturale dell’anziano è la famiglia e che tutti i provvedimenti sostitutivi, proprio perché sostitutivi, sono rimedi e mali minori, i quali anche nei casi necessari non cessano di essere tali.
La parrocchia, con la collaborazione degli animatori della pastorale per la terza età, educhi la famiglia perché nei limiti del possibile trattenga l'anziano nel proprio seno; o almeno gli procuri un’abitazione vicina, cosi da
raccordare il senso di autonomia con la facile e frequente assistenza.
Prima di addivenire alla decisione di un ricovero a tempo pieno (ipotesi che non è ragionevole respingere aprioristicamente) si dovrà esaminare l’opportunità delle forme di assistenza medico-sociale di tipo "aperto".
Quando è possibile offrire all’anziano la alternativa tra l’una o l’altra delle provvidenze sociali, si rispetti il suo diritto di scelta.
Nel caso in cui il ricovero s’imponga, é dovere morale della famiglia continuare il compito assistenziale affettivo, che certo non può essere delegato all’istituto e al suo personale.
Non di solo pane e di medicine vive l’anziano, ma anche e soprattutto di affetto.

 

 

AMARE L'ANZIANO
 

Amare l’anziano vuol dire apprezzare e fargli apprezzare il carisma della longevità; vuol dire anche difendere e insegnargli a difendere quel suo carisma.
Stima del carisma della longevità circostanze di natura e di grazia sembrano convergere per mettere l'anziano nelle migliori condizioni di diventare un dispensatore di sapienza, un testimone di speranza, un operatore di carità. Tre componenti della sua vocazione che sono da valorizzare; tre funzioni del suo carisma che sono da stimolare e coltivare.

 

1. Dispensatore di sapienza
Lungo l’arco dei suoi molti anni l’anziano è andato accumulando un ricco patrimonio di esperienze: esperienze di lavoro ed esperienze di vita. Il rapido progresso tecnico della nostra epoca può aver oltrepassato le prime, rendendole anacronistiche e quasi inservibili, ma le esperienze di vita permangono come un tesoro sempre attuale e valido. Nessuno, però, pensi che la sapienza sia un dono automatico della longevità: é un frutto la cui stagione preferita è l’autunno della vita, ma che in ogni caso esige una costante coltivazione: cioè imparando a vivere con interiorità, ad amare con disinteresse, a riflettere sul bene e sul male, sul vero e sul falso, a giudicare le opinioni e le azioni altrui confrontandole con le proprie convinzioni.
Lo Spirito Santo si avvale di queste acquisizioni sapienziali umane, procurate anch’esse non senza il suo influsso, per esaltarle ulteriormente arricchendole di valori superiori.
Così avviene talvolta che le parole proferite dalle labbra di un anziano si staccano dalla vita vissuta e cadono come semi nella vita da vivere: illuminarci nel dubbio di scelte importanti; ammonitrici nella baldanza di incauti comportamenti; confortatrici nell’ora dell’insuccesso, dell’umiliazione, dell’abbandono; incitatrici nell’asprezza o nella monotonia del proprio dovere; esortatrici a non tradire la coscienza; ispiratrici di soavi disposizioni che inclinano l’animo a riconoscere la buona fede negli altri, a scusarne gli errori, a perdonarne i torti, e soprattutto a far loro del bene in ogni possibile occasione, perché c’e più gioia a dare che a ricevere.

 

2. Testimone di speranza
E un’altra funzione a cui l’anziano è chiamato dal carisma della longevità.
Egli non può nascondere a se stesso che il fiume della sua vita si avvicina alla foce. Di fronte a questa intima e pungente percezione, cerca a volte di riconfortarsi, pensando che morire è una legge universale dell’esistenza, che la morte è anche una liberazione da umilianti acciacchi e da tristezze che lo rendono un peso a se stesso e agli altri, che oltre la tomba vivrà (per quanto tempo?) nel rimpianto dei suoi cari e nel ricordo degli amici.
Ma ben scarsa è la consolazione che ricava da queste e altre simili riflessioni naturalistiche, fin tanto che non è condotto a riscoprire le certezze della fede e a ridestare la fiarnma della speranza cristiana, sopita spesso sotto troppa cenere. Non appena questa risplende nel suo animo e lo riscalda, allora, guardando in faccia alla sua condizione di anziano, prova un sentimento nuovo di serenità e di pace. Se questa vita transitoria è un bene, tuttavia la morte gli recherà un guadagno più grande (Filipp. 1, 21). Se il più bello ha da venire, allora cesserà di rivolgersi indietro in amari e vani rimpianti, e col cuore si protenderà innanzi (cfr. Filipp. 3, 12-14). Se il suo corpo intorpidito si fa di giorno in giorno più indocile ai comandi dello spirito, sa che i sintomi affliggenti dell’avanzante senescenza rappresentano la corrosione di "questa nostra tenda" terrena, mentre ce ne viene preparata un’altra indistruttibile nei cieli (2 Cor. 5, 1). Sà, infine, che la partecipazione al mistero pasquale della divina risurrezione, posta in lui come un seme dal Battesimo, sta per realizzarsi in una pienezza immensa.
Saper aspettare con intimo desiderio l’alba del mattino eterno, mentre avvertiamo di affondare nel crepuscolo della sera terrena, saper sospirare la <<risurrezione e la vita>> mentre sentiamo di scendere verso la morte e la tomba: questa è la testimonianza di cui ha più bisogno il nostro mondo, che corre il rischio di soffocare in una secolarizzazione opaca e chiusa.
La Santa Chiesa ricorda a tutti i suoi figli di essere testimoni e araldi della speranza, ma soprattutto attende che tali siano gli anziani, perché la loro testimonianza ha maggiore credibilità a motivo della vissuta concretezza.
Testimonianza difficile, anzi impossibile all’uomo con le sole sue forze, ma non con l’aiuto di Dio, che a chi glielo chiede con cuore fiducioso, è concesso infallibilmente, in molti modi, e soprattutto mediante due sacramenti: l’Eucaristia, con cui gli anziani devono frequentemente alimentare la speranza; e, all'occorrenza, l’unzione degli infermi, che illumina, allevia, santifica la malattia.

 

3. Operatore di carità
E il terzo impegno della testimonianza a cui l’anziano e mosso dal carisma della longevità.
La senilità non deve essere considerata come uno spazio vuoto e triste tra l’attività e la morte, bensi come l’ultima fase della crescita e della maturazione della persona.
L'anziano, in forza del suo Battesimo, non deve essere soltanto oggetto dell’azione pastorale, ma è chiamato a esserne anche soggetto. Il maggior tempo libero a sua disposizione, la molteplice esperienza di vita e, in certi casi, anche l’ansia di ricuperare il tempo perduto possono fare di lui un collaboratore valido e prezioso nel campo dell’apostolato per una decina, e magari per una ventina d’anni molto attivi.
L'efficacia del suo impegno apostolico sarà proporzionale alla preparazione spirituale in cui affonda le radici. L'anziano venga quindi aiutato a crescere nella conoscenza della verità religiosa e nell’amore alla Chiesa fondata da Cristo e visibilmente guidata dal Papa e dai Vescovi; sia stimolato a coltivare il colloquio con Dio nella preghiera; sia educato a una devozione illuminata e tenera verso la Madonna; sia sostenuto nel proposito di fare in ogni circostanza lieta o triste la volontà del Signore con filiale abbandono al suo misterioso amore.

Con queste disposizioni interiori, fin che le forze glielo consentiranno, si preoccuperà di rendersi utile al prossimo. Anzitutto cercherà di recare giovamento nella cerchia familiare: le sue prestazioni, se tempestive e discrete, rappresenteranno un sollievo desiderato e benedetto. Nel caso in cui entrambi i genitori vanno al lavoro, la sua assistenza fidata e affettuosa ai nipotini sarà provvidenziale. Il tempo e i servizi dedicati a loro esigeranno non poca fatica, ma lasceranno in loro un ricordo dolcissimo che durerà per tutta la vita. I buoni insegnamenti, lasciati cadere nei solchi della loro innocenza, daranno frutti copiosi negli anni della giovinezza e della maturità.
L'anziano, se appena gli sarà possibile; estenderà la sua azione dalla famiglia alla parrocchia. Secondo le sue inclinazioni e attitudini riterrà un dovere partecipare alla commissione amministrativa o al consiglio pastorale o a qualche gruppo caritativo, missionario, liturgico, ecc. Si farà particolare premura di offrirsi per ogni forma di servizio e di conforto a vantaggio degli anziani e, secondo l’opportunità, li visitera, scriverà loro, li informerà dei raduni di preghiera, di istruzione religiosa e di svago.
E quando la senilità dovesse declinare in uno stato di continua infermità, specialmente allora dovrà respingere la tentazione deprimente di credersi un peso inutile. Nella sua condizione, accolta con umiltà, sarà stimolo agli altri di amore fraterno, come lui, a sua volta, e stato dal bisogno degli altri indotto a gesti di carità; non dimenticherà mai che
le lacrime, le sofferenze e le preghiere sono le armi della Chiesa per le vittorie più vere e più belle; crederà fermarnente nella "comunione dei santi", che per qualche aspetto può essere paragonata alla <<cassa comune>> del popolo di Dio, dove Cristo, incomparabilmente più di tutti, e la Madonna e i Santi hanno messo i loro meriti, dove lui stesso è invitato a deporvi quelli che va acquistando con la sofferenza accettata, offerta e unita alla passione di Gesù.
Lo conforti il pensiero che a quella "cassa comune" attingono i peccatori per convertirsi e i buoni per santificarsi; attingono i giovani e gli adulti per superare difficoltà e tentazioni; attingono le vocazioni ecclesiali per rimanere fedeli alla chiamata; attingono i morenti per chiudere gli occhi nella speranza; attingono i morti per uscire dal purgatorio. E se tutto questo è vero, come è vero, l’anziano infermo che l’ha saputo e lo crede, potrà ancora ritenersi un peso inutile? Forse mai come nei giorni della sua debolezza e della sua infermità diviene potente e utile per tutta la comunità.

 

 

Difesa del carisma della longevità
Dunque, amare l’anziano vuol dire apprezzare e fargli apprezzare il carisma della longevità in tutte le sue componenti, ma non soltanto questo. Vuol dire anche difendere e insegnargli a difendere i valori della sua età.
Non è difficile intuire quanto siano insidiati tali beni, dentro e fuori di lui. Principale nemico è l’abbandonarsi al fatalismo dell’invecchiamento e al progressivo impoverimento di interessi psicologici.

 

1. La fede vince la natura
Ci sono stati di vita in cui si entra liberamente (ad esempio il sacerdozio, il matrimonio), e stati di vita in cui non si entra liberamente, ma da cui liberamente si puo decidere, o almeno sperare, di uscire (ad esempio la vedovanza). La senilità, invece, è tale stato per cui l’entrata e l’uscita non sono una scelta libera. L'unica ragionevole e cristiana possibilità dell’anziano è di rendere volontario, operoso e meritevole ciò che é fatale. Ma questo atteggiamento e una
vittoria della fede sulla natura, dello spirito sul corpo: vittoria non mai definitiva, spesso contrastata da risentimenti ribelli e disperati o da depressioni tristi e lamentevoli, sempre bisognosa di essere sorretta e alimentata da una spiritualità diligentemente coltivata.

 

2. L'atteggiamento vince l'involuzione
La nostra pastorale renda l'anziano sempre più consapevole che la senescenza porta con sé il pericolo di una involuzione progressiva e lo aiuti a lottare contro ogni incipiente forma di abulìa, di apatia, di auto segregazione.
Si invecchia presto e male quando si perde la voglia di aggiornarsi, quando l’oggi non desta piiù attenzione, e il domani perde il fascino della sorpresa. L'anziano, anche in avanzata senescenza, venga stimolato perché si tenga al
corrente con la lettura, con i mezzi audiovisivi, con la conversazione sui fatti religiosi, politici, sociali, letterari, sportivi; perché coltivi qualche "hobby"; perché trascorra utilmente e piacevolmente il tempo libero, partecipando a riunioni di spiritualità e di carità., a convegni di amicizia. Non rifugga dal trattenersi con i giovani e con loro non rimpianga stucchevolmente i tempi andati, ma si sforzi di capire la loro mentalità, di condividere le loro speranze, di incoraggiare i loro progetti. Per tal modo essi gli concederanno la loro fiducia ed egli avrà la gioia di poterli consigliare con mitezza e discrezione, e soprattutto di confidare le proprie esperienze cristiane, rivelando loro l’enorme importanza del dono della fede, senza la quale l’uomo è un mistero a se stesso e la vecchiaia è uno squallore disperato. Seguirà il consiglio della Bibbia: "Parla, o anziano, a te si addice per la tua età; parla, e non impedire la musica" (Eccl. 32, 3).

 

3. Lo scopo della vita vale di più della vita
La drammatica crisi dell’uomo moderno è di aver perso le profonde ragioni della vita. La cosa più importante per l’anziano è di poterle riscoprire dentro di sé, altrimenti si troverà inerme e indifeso di fronte alle limitazioni, alle difficoltà, alle pene dell’età senile. Gli si dovrà far capire e sentire che il fine di questa vita non è questa vita, e neppure è l’efficienza produttiva, e neanche il benessere consumistico: non si vive per vivere, non si vive per lavorare, non si vive per la prosperità economica. La stessa pensione, quand’anche fosse tale da garantire una vecchiaia decorosa e perfino agiata, risolverebbe un problema importante, ma non il principale dell’anziano. Il fi supremo della nostra vita, come ci ha rivelato Cristo, è Dio, conosciuto e amato in un rapporto di figli a Padre. Ogni mito, compreso quello della efficienza e del consumismo, deve cedere il posto a questo massimo valore e destino ultimo della persona umana.
L'uomo che già in precedenza ha trovato il vero significato dei suoi giorni e ha saputo difenderlo dalle illusioni, giungerà alle soglie dell’anzianità con le migliori disposizioni per affrontarla. Non si lascerà vincere da un senso di abdicazione prematura e sfiduciata di fronte ai contrasti e alle difficoltà, e non abbandonerà prima del tempo per pochezza d’animo il suo posto. Ma neanche si abbarbicherà al suo ufficio e al suo lavoro, non si identificherà con la sua funzione sociale, non si crederà insostituibile (i cimiteri sono pieni di persone... insostituibili). Sarà il primo a riconoscere i suoi limiti biologici e psicologici, scavati con solco sempre più profondo dal tempo che passa; saprà superare i sentimenti personali in vista del bene della comunità di cui fa parte; troverà a tempo giusto il coraggio di ripetere le parole di Cristo: "E' bene per voi che io me ne vada" (GV 16,7).

 

4. Caratteristiche pastorali del secolo XX
E già stato osservato che il nostro secolo presenta particolari caratteristiche. Al suo inizio con il decreto di Pio X sulla Comunione dei fanciulli, vide fiorire la pastorale per l’infanzia; nel suo mezzo, per l’impulso dato da Pio XI e Pio XII all’Azione Cattolica, fu contrassegnato da una vasta e animosa pastorale rivolta ai giovani e agli adulti. E un’illusione prevedere che alla sua fine sara distinto da un’intensa e ben coordinata azione pastorale per la terza età?
Io penso che non sarà un sogno. Gia si preannunzia nella Chiesa un movimento che radunerà a centinaia, a migliaia, gli anziani che vorranno offrire per l’espansione del Regno di Dio l’ultima stagione della loro operosità, gli anni della saggezza e della contemplazione. Una consolante certezza li sosterrà, per cui giunti al sommo dell’ascesa guarderanno, sì, indietro pensosamente per staccarsi sempre più da qualche errore del passato, ma più ancora guarderanno avanti con gioia, nell’attesa della beata speranza. E magari, recitando il rosario, modificheranno talvolta, come faceva un anziano molto arguto, l’ultima parte dell’Ave Maria cosi: "Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra nascita. Amen".

 

 

 

SERVIRE L'ANZIANO
 

Giovanni Paolo II ha detto che "la vita degli anziani aiuta a chiarire la scala dei Valori umani; mostra la continuità delle generazioni e palesa meravigliosamente l’interdipendenza del popolo di Dio».
Nella esortazione apostolica Familiaris Consortio il Papa così si esprime: "E' necessario che l’azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, in particolare nella famiglia" (n. 27).

Queste intuizioni, questi semplici avvertimenti del papa potrebbero essere alla base di un documento pastorale sistematico, riguardante la terza età, che auspico vivamente.
Con il peso autorevole dell’Episcopato Nazionale, tale documento potrebbe offrire una stimolante e sicura traccia d’azione alle singole diocesi italiane, per intraprendere quell’azione pastorale che abbiamo constatato essere improrogabile. In attesa di questa preziosa indicazione, possiamo impegnarci in alcune riflessioni che aiutino una certa organizzazione all’interno delle diocesi, a promozione ed a sostegno di quelle iniziative che sorgono ovunque nel campo della pastorale per gli anziani, perché siano più costanti, più diffuse e più incisive. Una idea base deve illuminare e guidare costantemente l’impegno di tutti e di ciascuno: l'azione pastorale é per sua natura e struttura un'azione ecclesiale: un’azione cioè che ha come soggetto attivo la Chiesa come tale.
<<La Chiesa genera ogni giorno la Chiesa>>, diceva Beda il Venerabile. Il mistero della Chiesa è un mistero di autogenerazione: la Chiesa è madre nell’annuncio del Vangelo, nella celebrazione dei sacramenti, nella promozione umana secondo la carità di Cristo. E tutti i credenti sono partecipi attivamente di tale maternità spirituale.

Anche la pasrorale della terza età, proprio perché "pastorale" (azione materna della Chiesa) ha come protagonisti tutti i membri della Chiesa, che mettono in opera ciascuno i propri doni e carismi.
Così, prima e fondamentale protagonista della pastorale della terza età è la Chiesa stessa nella sua dimensione storica di Chiesa locale, nella duplice modalità della diocesi e della parrocchia.
Due ferme persuasioni devono stare a fondamento e a guida della nostra azione: la prima è che una pastorale della terza età, se non è radicata nella parrocchia, non è vitale; l’altra è che questo settore della pastorale parrocchiale, come del resto ogni altro, ha bisogno, per vigoreggiare, di essere illuminato e sostenuto da un Centro diocesano propulsore, che crei la comunione degli intenti, dei metodi e dei mezzi pur lasciando grande libertà ed autonomia di azione. La comunità ecclesiale ha urgente bisogno di prendere più chiara consapevolezza della necessità della pastorale per gli anziani, degli anziani, con gli anziani, e di assumere più concreto impegno per la sua concreta realizzazione. Solo nel contesto di una comunità viva può fiorire e fruttificare l’attività pastorale in ogni sua direzione e in particolare nella direzione degli anziani.

 

La dimensione comunitaria della pastorale della terza età è richiesta per una sua maggiore efficacia ed incisività (l'unione fa la forza), ma soprattutto come segno della Chiesa, cioè dell’unità dei credenti in Cristo, quasi un
coro sinfonico che aduna diverse tonalità di voci: "I giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini cantano il nome del Signor" (Sal.148, 12).
Entro la comunità ecclesiale la pastorale dell’età senile sarà organizzata dai diversi membri, secondo i vari doni e ministeri, distribuiti dal medesimo Spirito per l’edificazione dell’unico popolo di Dio.
Nell’unica "comunione" e "corresponsabilità" di tutti, a servizio degli anziani, rileviamo, per brevi cenni, l’azione pastorale particolare di alcune componenti di Chiesa.

 

 

Centro diocesano propulsore
Il movimento diocesano per la pastorale degli anziani avrà il fine specifico di allargare e approfondire a tutti i livelli ed in ogni categoria del popolo di Dio la sensibilità verso i problemi umani e cristiani della terza età.
Dovrà inoltre procurare che gli anziani siano guidati, sorretti ed incoraggiati a vivere i loro anni come un dono di Dio, a vantaggio dei fratelli e della propria anima.
Questo movimento non tenderà a sostituirsi, neppure in parte, alle diverse forme di assistenza istituite dalla società, ma cercherà i modi migliori per valorizzarle a profitto degli anziani.

 

Il Centro diocesano eviterà di rivaleggiare con similari movimenti ecclesiali, ma cercherà di mettersi in sintonia ed in fraterna collaborazione con essi, pur conservando la propria autonomia e le proprie caratteristiche.
 

Il movimento per la pastorale degli anziani avrà bisogno di un consiglio direttivo, di qualche persona impegnata a tempo pieno nei problemi organizzativi, di un foglio informativo e formativo. E infine sembra utile debba avere una sede propria.
 

 

Animatori e volontari
L'azione pastorale è si attività comunitaria, ma la comunità si muove quando al suo interno ci sono "animatori"; persone sensibilizzate al problema degli anziani dall’amore di Cristo che li sprona a muoversi ed a far muovere gli altri.
Il frutto più significativo di quest’opera di animazione è la nascita e la crescita di gruppi di volontari, i quali, mentre sollecitano la società civile a non declinare le sue responsabilità verso gli anziani, vengono personalmente incontro a tutte quelle situazioni di bisogno che nessuna legislazione, anche la più perfetta, e che nessuna assistenza, anche la più oculata, riescono a raggiungere.
Certamente in tema di diritti, e in modo complemenrare di doveri, degli anziani, non bisogna dimenticare che, oggi soprattutto, ci muoviamo in un contesto propriamente politico nel quale, pertanto, è legittimo e doveroso l’intervento dello Stato e delle sue strutture: e l’uno e le altre devono essere poste al
servizio dell’anziano, come membro a pieno diritto della società.
Di più, si deve rilevare che la modernità e l’efficacia di uno Stato e delle sue strutture, sulla base di un’attenzione rivolta a tutti, trovano la loro verifica nella capacità di una preferenza accordata alle persone più bisognose. Se tutto questo è vero, si fa problematico il compito di uno Staro in una cultura che privilegia - a volte in termini esclusivi - i valori della prassi e dell’efficienza.
Ma la forma pubblica d’intervento, pur essendo doverosa, da sola non basta: ci sono situazioni di povertà e di miseria che anche l'organizzazione pubblica più perfetta e oculata non è in grado di risolvere.
Perciò non solo l’iniziativa privata va difesa e promossa come pienamente legittima, ma occorre stimolare tutta una serie d’interventi volontari, fuori dalle strutture pubbliche e istituzionali: un volontariato da parte non solo dei singoli ma anche di associazioni. Ed è sommamente augurabile che un simile volontariato abbia il suo centro d’irraggiamento nella diocesi e nelle parrocchie.

 

Un’accurata formazione tecnica e spirituale distinguerà il gruppo o i diversi gruppi (magari uno per decanato) di animatori, scelti fra i presbiteri, i religiosi e i laici delle tre età.
Molto valido sarà il contributo che gli stessi anziani potranno dare alla loro pastorale. Ma non va sottovalutato il compito insostituibile dei giovani. Vita cristiana anemica ed impoverita è quella dove gli anziani e i giovani vivono separati, senza mutuo scambio delle tipiche spiritualità. Se i giovani sono una profezia, sono il futuro della Chiesa, gli anziani rappresentano la tradizione che insapora di saggezza le diverse generazioni mano a mano che si succedono sull’orizzonte della storia. Il continuo contatto, lo scambio intelligente e generoso degli specifici carismi conserveranno ai giovani i valori dell’esperienza e infonderanno agli anziani slancio e fiducia perché tendano a nuove mete.

 
Il gruppo degli animatori potrà cominciare a funzionare nelle parrocchie più importanti (i centri decanali) e da quelle che lo desiderano e si sentono preparate. Sarà opportuna una schedatura dei sessantenni e oltre, dove sia indicato se vivono in famiglia, se sono soli, se sono ospiti di istituti o di alberghi.

 

 

La parrocchia
La pastorale per la terza età trova il suo ambiente naturale nella parrocchia. Questa non trascuri di dare, per la prima, quella premurosa attenzione che ha il dovere di sollecitare dalla famiglia. L'anziano ha bisogno di sentirsi in comunione con la società ecclesiale non meno che con quella civile. Non pensi la parrocchia di esaurire il proprio compito verso gli anziani solo perché, di quando in quando, inserisce il loro ricordo tra le intenzioni delle preghiere dei fedeli.
L'anziano si sentirà sempre un isolato nella Chiesa se non si sentirà circondato da una comunità parrocchiale che lo stimi e, quando è possibile, lo valorizzi nelle sue attese e nelle sue capacità tecniche e spirituali. La carità più grande verso un anziano è di non lasciarlo inaridire in disparte, ma di aiutarlo a dare uno scopo operoso ai suoi giorni. A che vale che la geriatria dia anni alla vita, se poi la società non sa dare vita agli anni?
Un gruppo d’amicizia tra gli anziani, al quale potranno partecipare anche persone di diversa età, farà sentire ai vecchi che la parrocchia è come una famiglia dove non esiste solitudine né segregazione neppure per chi vive solo, o è ospite di qualche istituto, o non può uscire di casa. A questo fine servirà, quando è possibile, il telefono e, in ogni caso, la corrispondenza, e nelle ricorrenze personali e liturgiche (onomastico, compleanno, Narale, Pasqua, ecc.) un
ricordo, un piccolo dono d’affetto.

 

La parrocchia svilupperà anche tutte le provvide iniziative che mirano alla santificazione della terza età: organizzera conferenze e dibattiti di argomento religioso; disporrà una messa settimanale per l’anziano in ora opportuna; qualche giorno di ritiro spirituale ben preparato; se le circostanze lo consiglieranno curerà qualche liturgia della Parola nelle ore pomeridiane dei venerdì d’Avvento o il pio esercizio della Via Crucis nei venerdì quaresimali; educherà gli anziani alla preghiera individuale e liturgica, alla frequenza dei sacramenti; li inviterà a qualche pellegrinaggio; renderà facile la partecipazione ai convegni a loro dedicati nei centri decanali, o zonali, o diocesani, ecc.  
 

 

La famiglia
La famiglia cristiana come "chiesa domestica" (cfr. Lumen Gentium, n. 11) ha la vocazione di rivivere entro le proprie mura e, più ancora, entro lo spazio spirituale dell’amore, il servizio della grande Chiesa verso gli anziani.
Ciò comporta una serie di responsabilità che vanno dalla non emarginazione dell’anziano alle diverse forme della sua positiva valorizzazione.

 

In ognuna di queste responsabilità, la famiglia cristiana saprà assumere posizioni che non sempre saranno comprese e condivise dall’attuale società, la cui cultura a volte emargina - e non senza spietatezza - l’anziano: in particolare testimonierà il suo amore cristiano, anche a costo di sacrificio, nei momenti più difficili (pensionamento, ricovero, malattia).
 

La famiglia deve essere consapevole del contributo positivo che, per la sua crescita, viene offerto dalla presenza e dalla parola dell’anziano che colmano i vuoti fra le generazioni.
Spesso l’anziano può attivamente collaborare all’educazione dei bambini supplendo all’assenza dei genitori occupati nel lavoro fuori casa. "Quanti bambini - dice Giovanni Paolo II - hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole, nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che ‘corona degli anziani sono i figli dei loro figli’ (Prov 17, 6)» (Giovanni Paolo II ai partecipanti al Forum di Castelgandolfo, 5 settembre 1980).
Nessuno poi può dimenticare quelle rigorose parole della Scrittura: <<Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore>> (Sir. 3, 12-13).
Nessuna debolezza fisica o morale potrà mai offuscare la luce di Dio di cui l’anziano e immagine vivente, perché persona.
E, quanto più la natura umana si fa fragile e incerta, bisognosa e sofferente, come normalmente accade nella senescenza, tanto più brillano nell’anziano l’impronta del Creatore e la partecipazione alla figliolanza di Gesù Cristo.
Il segno della divina creazione e della redenzione fanno dell’anziano, specialmente se bisognoso, un termine privilegiato del nostro amore.

 

 

I presbiteri e i religiosi
I presbiteri hanno un loro insostituibile ministero in quanto animatori e guide della comunità ecclesiale: hanno la grazia e la responsabilità di educare i fedeli a vivere secondo il Vangelo, nelle diverse età della vita.
Viva riconoscenza spetta ai sacerdoti che riservano alla cura pastorale degli anziani un tempo decisivo del loro ministero e del loro cuore. Se poi essi stessi sono anziani, meritano doppia riconoscenza per lo spirito di dedizione e per il buon esempio.

 

Quanto ai religiosi si potrebbero rilevare, tra gli altri, due aspetti loro propri:

- in termini generali, il carisma della vita religiosa consiste nell’essere "profezia del mondo futuro»: in tal senso i religiosi sono, per vocazione e missione, testimoni e araldi particolari della speranza cristiana, modelli viventi di come attendere che si compia la "beata speranza". E l’essere testimoni di speranza è uno dei carismi della longevità;
- in termini particolari: e auspicabile che lo Spirito Santo susciti qualche <<famiglia religiosa>> che assuma, come proprio specifico compito religioso, la sollecitudine pastorale accurata e diligente degli anziani e, tra gli anziani, curi particolarmente quelli che si sentono chiamati ai doni più alti della spiritualità.

 

Sacerdoti e religiosi ameranno le conversazioni amichevoli con gli anziani e vi recheranno sempre una nota di spiritualità e di gioia pasquale.
Saranno, però, sempre rispettosi di fronte alla delicata psicologia, alla storia personale di ciascun anziano, alla sua libertà di coscienza. La proposta religiosa per nessun motivo e sotto nessuna forma dovrà essere sentita come pressione religiosa.

 

 

Gli anziani stessi
E da ultimo, ma solo per farla materia di più profonda riflessione, occorre la convinzione che gli anziani non solo sono "oggetto" di pastorale, ma anche e soprattutto "soggetto" attivo e cosciente.
Sono gli anziani stessi i protagonisti della loro crescita umana e della loro maturazione cristiana. Nessuno li può sostituire in questi inderogabili compiti della vita, nessuno può vivere al loro posto. La pastorale della terza età sarà giustamente indirizzata e raggiungerà il suo scopo solo se porterà gli anziani ad essere i primi ad edificare la Chiesa tra i loro coetanei. Perché ad essi, e ad essi soltanto, sono date l’esperienza e la grazia della terza età. Il loro dono, unico ed insostituibile, in armonia con tutti gli altri, è destinato al servizio dell’unica Chiesa di Cristo.

LA PASTORALE DELLA TERZA ETA'
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