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LETTERATURA DEL PRIMO NOVECENTO /

APPUNTI

PAGINA IN ALLESTIMENTO

da Giovanni Colombo, Letteratura del Primo Novecento, Università della Terza Età "Card. Giovanni Colombo" ed. NED 1989

DICONO E SCRIVONO DI LUI

Lo sapevano già gli antichi, lo sapeva già Platone mettendo in bocca a Socrate l'apologo famoso del Fedro, che la parola scritta - ancor più drammaticamente di quella solo pronunciata - ha un destino inerme e indifeso; poiché parla con lo stesso candido entusiasmo a chi la ricerca con passione e a chi, infastidito, la incontra forzatamente. Può essere ricopiata dallo studente volenteroso, ma anche stravolta ad arte dal plagiario interessato. E’ come il vecchio Pietro dell’indelebile predizione riportata da Giovanni: la veste gli è cinta da un altro, è un altro a condurlo dove non vorrebbe o, semplicemente, non sa.
Tutto questo è vero per ogni parola scritta, dal verso poetico alla prosa di romanzo, dalla cronaca giornalistica al saggio raffinato (può essere vero, come insegna la storia delle eresie, anche per la Parola di Dio; che pure non rinuncia a umiliarsi nei segni dell'alfabeto umano, ripetendo anche in questo il mistero del Logos che si incarna). Disarmato sempre, lo scritto pare sventolare addirittura bandiera bianca quando si tratti di un comportamento d’occasione, uno di quelli che - non senza civetteria - Cesare Garboli ha recentemente definito "scritti servili".

 

Specie poi se pagine diverse tornano, a distanza di anni, al discutere dello stesso argomento, qualcosa ripetendo e altro aggiungendo, in quella circolarità tra inedito e caratteristico che fa lo spessore di una scrittura di pensiero. E quando, infine, una mano diversa da quella dell'autore prende in esame l’ormai voluminoso incartamento, e seleziona e riordina secondo criteri di opportunità e coerenza interna, ecco che lo scritto ha rinunciato del tutto a opporre resistenza, lasciandosi docilmente modellare in una nuova forma di mosaico, nella quale ogni tassello conserva pressoché intatta la propria fisionomia, attenuandola però a beneficio del disegno complessivo.
 

Raccogliere in volume una parte degli scritti che il cardinale Giovanni Colombo, arcivescovo emerito della diocesi di Milano, ha dedicato nel corso di lunghi anni alla letteratura del primo Novecento significa, per più aspetti, rendere all’anziano apostolo il servigio preannunciato dal Maestro. Significa, infatti, tornare a cingere una veste intessuta di parole eleganti eppure sempre castigate, significa prendere una mano che con la stessa ferma apprensione ha retto la diocesi che fu di Giovanni Battista Montini e postillato le pagine di Mauriac e Claudel, stringerla forte e accompagnarla ancora tra i libri amati.
Sapendo, però, che quelli qui raccolti rimangono sì "scritti servili» (articoli di rivista o conferenze tenute a lungo
inedite), ma dove l'aggettivo "servile" alla dignità del "servizio" che Cristo comandò ai propri discepoli dopo aver lavato loro i piedi la sera dell’Ultima Cena.

 

Lettore instancabile, solidamente formato sui classici e capace, quindi, di emettere ben motivati giudizi sulle più recenti sperimentazioni letterarie, il cardinale Colombo non ha mai praticato una critica letteraria di diporto. Quando è intervenuto - anche solo con una recensione o con una breve conversazione pubblica -, lo ha sempre fatto per coniugare a una finissima valutazione d’arte un altrettanto circostanziato giudizio morale e, dove necessario, dottrinale. Ha guardato, insomma, alle nuove forme d’arte sempre cercandovi le tracce di quella "arte nuova" che il secolo nascente pareva aver atteso con impazienza.
 

In che misura e in che modo la letteratura del primo novecento (dizione che comprende, salva restando la possibilità di qualche oscillazione, il primo quarantennio del secolo) risponda a questa attesa di novità è, appunto, il problema dibattuto nelle pagine che seguono. Dibattuto, ripetiamolo, il che mette al riparo questi scritti, già tanto privi di difesa, dall’accusa di contraddizione o di ripetitività (si pensi, per esempio, alle numerose coincidenze che legano queste pagine a un volume dello stesso autore edito nel 1937 da Vita e Pensiero, Aspetti religiosi della letteratura contemporanea). Il fatto e che, come spesso accade in questi casi, c'è un modo giusto e un modo sbagliato per leggere queste note. L’errore sarebbe quello di aggredire il libro come se il libro stesso fosse disposto a ingaggiare battaglia, pretendendo apparati di riferimento,
bibliografie aggiornate, cura minuziosa per ogni pronunciamento critico recente e recezione. Percorso con pretese di questo tipo il libro é destinato a deludere, perché non è a questo che mira. 

 

Per gustare queste riflessioni va infatti messa da parte ogni acquisizione accademica e riscoperto il gusto che un cristiano prova a dialogare con la letteratura del suo tempo: la grande letteratura (e questo accredita la presenza di colossi come Pirandello, ma anche di autori come Graham Greene) e la più vasta letteratura di consumo (e questo spiega l’attenzione per scrittori che furono beniamini del pubblico dell’epoca, senza poi entrare nella storia della letteratura: esemplare il caso di Virgilio Brocchi).
 

Un documento quindi, come si usa dire, e solo un documento? Non proprio, non solo. Perché, oltre a questa dimensione del lettore di razza - e dell'esigente spettatore teatrale, non dimentichiamolo - il cardinale Colombo conserva intatta e smagliante la virtù di una prosa riposata e puntuale, nella quale gli aggettivi hanno il pudore di esitare pensosi prima di accomodarsi al proprio posto, e gli avverbi fanno altrettanto, tra esatti sostantivi e predicati eloquenti. Si intuisce e si sente riecheggiare la grande lezione della retorica sacra, variegata però da striature di inattese quotidianità, quasi un omaggio  - l'ennesimo - a quell'"arte nuova" che ancor oggi, in quest'ultimo scorcio di Novecento, attendiamo si manifesti e ci permetta di riconoscerci in essa. Come uomini, certo. E come cristiani.
                                                                                                                                    ALESSANDRO ZACCURI

 

 


NOTA AI TESTI
Le pagine sulla Narrativa riprendono e ampliano lo studio su Aspetti della narrativa contemporanea comparso in "Letture", XI, 4 (aprile 1956), pp. 145-154 (si vedano in particolare le pp. 152-154).
La nota sul Teatro é apparsa, con il titolo Ripensando al teatro della mia giovinezza, su "Teatro", 142 (aprile 1988), pp. 15-38; nella stesura attuale le ultime pagine riprendono Il mistero dell'Annuncio, pubblicato in "Studi cattolici", 305/6 (luglio-agosto 1986), pp. 412~416.
Sempre su "Studi Cattolici", con il titolo La grazia nella letteratura del primo Novecento, é uscito in due riprese (n. 331, settembre 1988, pp. 559-567, e I1. 332, ottobre 1988, pp. 667-677) l'attuale Il tema della grazia; analogamente, con il titolo La figura del sacerdote nella letteratura del primo Novecento, l’attuale La figura del sacerdote era comparso in "Studi Cattolici", 316 (giugno 1987), pp. 331-337, e 319 (settembre 1987), pp. 497-505. Gli altri interventi sono inediti.

Quando eri più giovane ti cingevi
la veste da solo e andavi dove volevi;
ma quando sarai vecchio tenderai le
tue mani, e un altro ti cingerdà la
veste e ti porterà dove tu non vuoi.
Giovanni 21,18

  • Introduzione al primo Novecento continua

  • La narrativa

  • I poeti e la poesia

  • Il teatro

  • Aspetti positivi

  • La grazia nella letteratura del primo Novecento

  • il sacerdote della letteratura del primo Novecento

  • il messaggio cristiano di Francois Mauriac

  • "Il potere e la gloria" di Graham Greene

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